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Archive for the ‘Giurisprudenza’ Category

Il rinvio pregiudiziale ex art. 363 bis c.p.c. . Emessa la prima ordinanza di rinvio ai sensi della norma introdotta dalla recente riforma del processo civile

Posted by Roberto Di Napoli su 30 marzo 2023

Pur tra le non poche perplessità che suscita la recente riforma del processo civile, credo che l’introduzione della norma di cui all’art. 363 bis c.p.c. che consente al Giudice di merito il rinvio pregiudiziale alla Corte di Cassazione sia apprezzabile e particolarmente utile nelle cause che hanno ad oggetto questioni che presentano gravi difficoltà interpretative. Bisogna sperare, ovviamente, nella celerità della decisione della Cassazione al fine di evitare il rallentamento del giudizio di merito.

Sul sito della Corte di Cassazione è pubblicata la prima ordinanza di rinvio pregiudiziale, ai sensi della norma appena introdotta nel codice di rito all’art. 363 bis c.p.c.. (clicca qui)

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Anatocismo sui conti correnti dopo il 2000: alcune pronunce dei giudici di merito aderiscono al principio affermato dalla Cassazione (ord. 4321/22)

Posted by Roberto Di Napoli su 12 ottobre 2022

La Corte di Cassazione, con ordinanza del 10 febbraio 2022 n. 4321, ha riconosciuto l’illegittimità della capitalizzazione trimestrale, nei rapporti di conto corrente, anche per il periodo successivo alla delibera Cicr 9 febbraio 2000 laddove il tasso effettivo annuo creditore sia identico a quello nominale: ciò in quanto una simile previsione contrattuale rende evidente che non potrà mai esservi anatocismo in favore del correntista e, quindi, di fatto, non potrà mai esservi il rispetto della condizione di reciprocità (prevista, invece, dagli artt. 120 d.lgs. 385/1999 e dall’art. 6 delibera Cicr cit. quale conditio sine qua non per potersi ritenere legittima la capitalizzazione a favore della banca). In un mio precedente post, lo scorso mese di febbraio, ricordavo che già nel 2007, sin dalla II edizione del mio volume “Anatocismo bancario e vizi nei contratti” edito da Maggioli fino alla VI uscita a marzo 2020, avevo rappresentato come, spesso, nemmeno la disciplina intervenuta con la modifica dell’art. 120 d.lgs. 385/1993 e con la delibera Cicr 9 febbraio 2000 venisse rispettata, con il conseguente diritto del correntista ad ottenere la ripetizione degli oneri anatocistici anche per il periodo successivo al 2000. Prima del recente intervento degli ermellini, alcune pronunce dei giudici di merito, negli anni scorsi, già avevano riconosciuto la validità del principio sollevato dalla difesa degli utenti bancari (ad esempio: Trib. Salerno, sent. 5 novembre 2019, n. 3507, pubblicata sulla banca dati Diritto e contenzioso bancario nonché nel mio Anatocismo bancario e vizi nei contratti, cit. in nota pg. 180, VI ediz. 2020) che, ora, può continuare ad essere invocato visto quanto affermato dalla Cassazione.

Verificata la documentazione contrattuale e, quindi, la sussistenza dei presupposti, l’eventuale eccezione di nullità della clausola “anatocistica” e dei conseguenti oneri può essere rilevante anche ai fini della formulazione dei quesiti al consulente tecnico d’ufficio o dell’esame della correttezza della metodologia di calcolo seguita nella rideterminazione del rapporto.

Vari Tribunali hanno già manifestato di aderire al principio riconosciuto dai Giudici di Legittimità con la recente pronuncia (Trib. Brindisi, ord. 19 aprile 2022, pubblicata sul sito Centro Anomalie bancarie)

Il Tribunale di Latina, con ordinanza del 19 agosto 2022, accogliendo le richieste della correntista da me patrocinata, ha ordinato al c.t.u. di verificare se la metodologia seguita sia conforme al principio riconosciuto dalla Cassazione con l’ordinanza n. 4321/2022. E’ stata accolta, inoltre, la richiesta di esibizione di vari assegni di cui la correntista aveva chiesto copia ancora prima di intraprendere l’azione giudiziaria ma che, invece, la banca, senza alcun motivo, non aveva fornito (ricordo una precedente ordinanza emessa, in un caso simile, dal Tribunale di Ravenna già nel 2010 con la quale, allo stesso modo, il Giudice aveva ordinato l’esibizione dei titoli contestati; vd, mio precedente post del 13 maggio 2010 e l’ordine di esibizione degli assegni addebitati nel corso del rapporto).

In merito all’ordinanza della Corte di Cassazione del 10 febbraio 2022 n. 4321, segnalo anche una mia breve nota pubblicata su Diritto.it: Nei rapporti di conto corrente bancario, è illegittima la capitalizzazione se il tasso nominale e il tasso effettivo annuo creditore coincidono

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Anatocismo post delibera Cicr 2000: la Corte di Cassazione conferma l’illegittimità della capitalizzazione se il tasso annuo effettivo degli interessi a credito del correntista è identico al tasso nominale

Posted by Roberto Di Napoli su 17 febbraio 2022

Nel 2007, quasi 15 anni fa, nella II edizione del mio volume “Anatocismo bancario e vizi nei contratti” edito da Maggioli, riportavo la tesi dell’illegittimità della capitalizzazione anche nei contratti sottoscritti dopo la delibera Cicr del 9 febbraio 2000. Nelle edizioni successive, e, quindi, anche nella VI, uscita a marzo 2020, richiamate alcune pronunce di merito nel frattempo intervenute, precisavo le ragioni per le quali non si potrebbe sostenere la “pari periodicità” della capitalizzazione (prescritta, invece, dall’art. 120 d.lgs. 385/1993, come modificato dall’art. 25 d.lgs. 342/1999, nonché dagli articoli 2 e 6 della Delibera Cicr 9 febbraio 2000) laddove l’incremento del tasso annuo effettivo degli interessi a credito del correntista rispetto al tasso nominale sia pari a zero, al contrario del vantaggio che riceve la banca dalla clausola anatocistica e reso palese dal tasso annuo effettivo debitore maggiore del tasso nominale.

Il 10 febbraio scorso anche la Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 4321/2022 (credo che non vi siano precedenti di legittimità sotto questo specifico profilo) ha confermato la fondatezza del principio accogliendo il ricorso patrocinato dal collega Avv. Andrea Argenta con la consulenza del Dott. Giorgio Vincis (ai quali porgo le mie congratulazioni). Ciò di cui ero convinto sin dal 2007 (e che ho continuato a ribadire nonostante pochissime pronunce di merito) ora risulta confermato anche dai Giudici di legittimità: nel rapporto di conto corrente, laddove il tasso di interesse nominale creditore (per il correntista) è identico al tasso effettivo annuo, mentre, invece il tasso effettivo annuo debitore è superiore a quello nominale, non vi è pari periodicità e, quindi, in tal caso la capitalizzazione è illegittima anche nei contratti successivi alla delibera Cicr 9 febbraio 2000.

Pubblico il link a una mia breve nota pubblicata sul portale Diritto.it unitamente all’ordinanza della Corte di Cassazione, sez. VI- sottosez. 1- ord. 10 febbraio 2022 (cliccare qui per scaricare il pdf)

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Mediazione obbligatoria: revocato il decreto ingiuntivo alla banca che ha rifiutato il dialogo dinanzi all’Organismo

Posted by Roberto Di Napoli su 6 dicembre 2021

La banca che chiede ed ottiene il decreto ingiuntivo e a cui carico è posto l’onere, in caso di giudizio di opposizione, di introdurre la mediazione, può subire la revoca del provvedimento monitorio qualora, malgrado la disponibilità manifestata dalla controparte, rifiuti di proseguire al fine di tentare una composizione.

Nel contrasto giurisprudenziale sull'”effettività” della mediazione e sulle conseguenze in caso di rifiuto di una delle parti a tentare una composizione dinanzi all’Organismo previsto dalla legge, il Tribunale di Trapani, con sentenza del 28 aprile 2021, n. 383 ha aderito all’orientamento secondo cui non è sufficiente che la parte adempia all’onere di introdurre la mediazione se, poi, nonostante la disponibilità a trattare manifestata dalla controparte, si rifiuta di proseguire.

Nel caso oggetto della decisione, gli opponenti (difesi da me e dal collega avv. Daniele Rossi), su invito del Giudice, avevano già instaurato la procedura di mediazione (obbligatoria in materia di contratti bancari) che si concludeva con verbale negativo. Successivamente, intervenuta la nota pronuncia della Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, del 18 settembre 2020, n. 19596, il Giudice invitava, questa volta, la banca ad introdurre la procedura. Dinanzi all’Organismo, tuttavia, quest’ultima, pur preso atto della disponibilità degli opponenti a entrare nella successiva fase finalizzata all’esame dei presupposti per un accordo, manifestava la “volontà” di non procedere. Il Giudice fissava, quindi, l’udienza per la precisazione delle conclusioni e discussione orale ex art. 281 sexies c.p.c. accogliendo, all’esito, le richieste della difesa degli opponenti di improcedibilità del giudizio e di revoca del decreto opposto. Una decisione, a mio avviso, che appare conforme alla funzione della mediazione che, come motivato dal Giudice, implica che le parti si confrontino nel merito per valutare la sussistenza delle condizioni per un accordo conciliativo. Ne deriverebbe, altrimenti, un inutile allungamento dei tempi del giudizio e si vanificherebbe la ratio dell’istituto che è volta proprio al tentativo di deflazionare il contenzioso dinanzi a un organo diverso dal Giudice e fuori dal giudizio.

Una decisione che risulta rilevante, infine, anche in considerazione di quel potenziamento dell’istituto della mediazione auspicato dal Legislatore attraverso le norme inserite nella legge delega per la riforma del processo civile recentemente approvata dal Parlamento.

Una breve nota sulla sentenza è pubblicata sulla banca dati Diritto e contenzioso bancario

Ricordo a quanti dovessero essere interessati la II edizione del corso organizzato da Maggioli Editore su “Le controversie tra banca e utente tra diritto di credito, diritto di impresa e diritti fondamentali La composizione delle liti nel nuovo codice della crisi d’impresa” che si terrà a partire dal 3 al 18 febbraio 2022 e che avrò l’onore di coordinare insieme all’avv. Monica Mandico e ad autorevoli relatori. Tra i vari argomenti, oggetto della prima giornata sarà anche “La mediazione quale condizione di procedibilità dell’azione giudiziaria. La valutazione del comportamento delle parti dinanzi all’organismo di mediazione”. Maggiori dettagli sul programma e sulle modalità di iscrizione sono pubblicati sul sito della casa editrice (qui).

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Un’interessante pronuncia sul danno da perdita di chance

Posted by Roberto Di Napoli su 19 ottobre 2021

Una pronuncia del Consiglio di Stato (Cons. Stato, sent. 13 settembre 2021, n. 6268) contribuisce ad arricchire la giurisprudenza sul danno da perdita di chance. Sebbene, nel caso concreto, l’esame abbia avuto ad oggetto la risarcibilità del danno da perdita di chance nel diritto amministrativo, la pronuncia appare di particolare interesse per avere evidenziato i presupposti di risarcibilità di tale categoria di danno. A mio avviso, la decisione, così come, in generale, la giurisprudenza sul danno da perdita di chance, invita a far riflettere anche sulla risarcibilità di pregiudizi che può subire l’imprenditore laddove, in caso di abusi bancari o di un arbitrario recesso dal rapporto o di illegittime segnalazioni in Centrale Rischi, abbia subito una seria compromissione della propria attività o anche laddove, pur in presenza dei presupposti, non abbia ottenuto i benefici economici previsti dalla normativa antiracket ed antiusura (ex l. 108/1996 e 44/99). Sulla banca dati Diritto e contenzioso bancario, la sentenza dei Giudici amministrativi e alcuni miei richiami a precedenti della Corte di Cassazione sul danno da perdita di chance

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La banca, in pendenza di un’opposizione a precetto, notifica, per lo stesso titolo contestato, un decreto ingiuntivo per €500.000 contro gli stessi soggetti e un altro familiare. Rigettata l’istanza di provvisoria esecutorietà

Posted by Roberto Di Napoli su 19 settembre 2021

Nel 2017 un noto colosso bancario, vantando un credito di € 947.662,42 a causa di un contratto di mutuo fondiario per un capitale pari ad €1.400.000,00 garantito da ipoteca e da fideiussioni, notificò un atto di precetto a carico di un’impresa storica di Palermo e dei garanti i quali (assistiti da me e dal collega avv. Daniele Rossi e con una consulenza contabile di parte effettuata dal dott. Roberto Fede di Trapani) proponevano opposizione preventiva all’esecuzione ex art. 615 c.p.c. . Il Giudice ammetteva una consulenza tecnica d’ufficio di natura contabile ma respingeva le osservazioni degli opponenti con le quali avevano richiesto l’estensione e precisazione dei quesiti in conformità alle eccezioni formulate e, successivamente, contestato la metodologia e le risultanze. Nel corso del giudizio, e, in particolare, alla fine del 2020, una società -asserendo di essere cessionaria del credito- notificava, per quello stesso titolo contestato e opposto dinanzi allo stesso Tribunale di Palermo, un decreto ingiuntivo a carico sia degli stessi soggetti che avevano già proposto la prima opposizione ex art. 615 c.p.c., I comma, sia nei confronti della figlia (ritenuta garante). Veniva ingiunto, in particolare (a dire della ricorrente: “senza rinuncia al maggior credito vantato”), il pagamento di €500.000 a carico di due coniugi (quali garanti dell’impresa) e nei confronti della figlia (fino al limite di € 350.000) oltre interessi moratori e spese del procedimento.

Ma non solo. Proposta opposizione al decreto ingiuntivo da parte degli ingiunti (tra i principali motivi, quelli di abuso del processo, difetto di prova della titolarità del credito da parte della società che si qualificava cessionaria del credito nonché varie ragioni di nullità del titolo, nullità della pattuizione della clausola relativa agli interessi anche in considerazione del piano di ammortamento con regime di capitalizzazione composta, nullità delle fideiussioni anche per violazione della normativa antitrust), alla prima udienza, la società qualificatasi cessionaria del credito insisteva nella concessione della provvisoria esecutorietà . Con ordinanza del 16 settembre 2021, il Giudice dell’opposizione a decreto ingiuntivo, lette le eccezioni degli opponenti, ha rigettato la richiesta di provvisoria esecutorietà e invitato la società opposta a instaurare la procedura di mediazione. Il provvedimento risulta di particolare interesse considerato che la società opposta aveva ritenuto di fondare l’istanza volta ad ottenere la provvisoria esecuzione su quella stessa consulenza tecnica d’ufficio che, tuttavia, è stata contestata dagli opponenti in quanto ritenuta non conforme alle eccezioni che erano state formulate.

L’ordinanza di rigetto dell’istanza di provvisoria esecutorietà:

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L’accertamento definitivo dello stato di insolvenza del correntista non esclude la responsabilità della banca

Posted by Roberto Di Napoli su 28 aprile 2021

La Corte di Cassazione, terza sezione civile, con ordinanza dell’8 aprile 2021 n. 9388 ha affermato un principio che appare di particolare interesse, soprattutto se si considerano i gravi pregiudizi che possono derivare all’utente da una condotta illegittima o illecita posta in essere dalla banca: danni che possono sfociare nel fallimento e, quindi, nella distruzione dell’attività di impresa.

Come ho ricordato nella mia breve nota pubblicata, insieme all’ordinanza, sul portale Diritto.it, la pronuncia (sebbene riferita ad un caso in cui la banca si era resa inadempiente nell’esecuzione di un mandato a vendere conferitole per coprire un contestato scoperto di conto corrente e aveva, poi, richiesto il fallimento del mandante-correntista) risulta particolarmente interessante se si considera anche l’ingente contenzioso che, da almeno un ventennio, vede contrapposti utenti e intermediari bancari relativamente a diversi vizi nei rapporti.

Colgo l’occasione per ricordare a quanti fossero interessati, il master su “Le controversie bancarie” organizzato da Maggioli Editore, in sei giornate (36 ore complessive), dal 14 giugno al 2 luglio 2021. Per dettagli sul programma, relatori, costo e modalità di iscrizione è possibile consultare la pagina del sito della casa editrice.

Ricordo, infine, che è acquistabile nelle librerie, sul sito della Maggioli Editore o attraverso le principali librerie online, la VI edizione (2020) del mio manuale “Anatocismo bancario e vizi nei contratti.

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La banca chiede ed ottiene un decreto ingiuntivo, iscrive ipoteca e instaura un’azione revocatoria. Il Tribunale accoglie l’opposizione e accerta che debitrice era la banca: condannata alla restituzione di importi e alle spese di lite. La sentenza

Posted by Roberto Di Napoli su 2 dicembre 2020

Non è, certamente, la prima volta che la banca chieda e ottenga un decreto ingiuntivo pretendendo il pagamento del saldo e, all’esito del giudizio, si accerti e dichiari che, invece, è proprio questa ad essere debitrice, o che, comunque, nulla le sia dovuto. Sin da 2007, ossia, dalla nascita di questo mio blog -quando ancora poteva stupire che, a causa di alcuni vizi nei rapporti bancari, la pretesa bancaria potesse risultare infondata- ho raccontato, più di una volta, casi di provvedimento revocati con conseguente accertamento del credito (e non del debito) dell’utente (in un caso, in seguito ad opposizione a decreto ingiuntivo di 100 mila euro, è risultato un credito della correntista di oltre 500 mila euro) oppure di decreti revocati per l’accertata falsità della firma apposta su fideiussione o per essere stato chiesto a un Giudice territorialmente incompetente. Prima ancora, sin dal 2005, avevo dedicato vari paragrafi sui principali vizi e sugli strumenti di difesa nel mio primo manuale “Anatocismo bancario e vizi nei contratti“, edito da Maggioli Editore e di cui è uscita, quest’anno, la VI edizione.

Pur nel difficile periodo di crisi economica che perdura da un po’ di anni (prima ancora che si aggravasse a causa della recente pandemia) imprenditori e consumatori non solo si trovano a dovere affrontare le note difficoltà nell’accesso al credito ma, spesso, si trovano a doversi difendere da pretese illegittime: sebbene, infatti, sia ben noto che la pretesa della banca non è tutelata dall’ordinamento se a determinare il saldo ha contribuito l’addebito di voci di costo non dovute, si assiste ancora, purtroppo, a tentativi di ottenere il soddisfacimento di ragioni di credito insussistenti o importi superiori a quelli legittimi: tentativi che riesce difficile distinguere da tentativi di furto o di saccheggio e che dovrebbero essere puniti o disincentivati al fine di evitare che (come spesso avvenuto) siano posti in essere nei confronti di soggetti che non possono o non riescono a difendersi.

Pubblico sotto al presente post la sentenza (emessa dal Tribunale di Genova) con la quale, all’esito di un’opposizione avverso un decreto ingiuntivo proposta da un’impresa e da due (ritenuti) fideiussori assistiti da me e dal collega avv. Daniele Rossi, ancora una volta è stata la banca (che sosteneva di essere creditrice) ad essere condannata non solo a restituire quanto indebitamente ricevuto durante il rapporto di conto corrente, ma anche a cancellare le segnalazioni illegittimamente effettuate alla Centrale Rischi, le ipoteche che aveva iscritto e a rimborsare le spese legali. Nel caso di specie, la vicenda è ancora più grave di quello che si desume dalla pronuncia. La banca, infatti, dopo avere ottenuto la provvisoria esecutorietà del decreto opposto, aveva anche instaurato un’autonoma azione revocatoria chiedendo che venisse dichiarata l’inefficacia di un trasferimento immobiliare: sosteneva che l’atto di disposizione pregiudicasse le proprie ragioni di credito. Ora, il Tribunale ha accertato e dichiarato, però, che la banca non era affatto creditrice ma debitrice. E se gli ingiunti (solo apparentemente) debitori non si fossero opposti? Il decreto ingiuntivo sarebbe diventato definitivo con la conseguenza che una pretesa, pur illegittima ed infondata, sarebbe diventata definitiva e difficilmente contestabile. E’ possibile che lo Stato permetta e non punisca severamente simili tentativi di ottenere somme non dovute? E’ accettabile che un soggetto o un imprenditore il quale, magari, dovendo già affrontare le note difficoltà quotidiane (ad esempio: mantenere l’impresa, pagare i fornitori, i lavoratori, tasse, contributi, ecc.), non abbia possibilità di difendersi, possa correre il rischio di subire la distruzione dell’impresa o di vedersi la casa messa all’asta per colpa di un debito che, se si fosse opposto, forse, non sarebbe stato riconosciuto tale? Riesce difficile comprendere, a fronte del diritto fondamentale alla proprietà privata o a varie norme costituzionali che tutelano il diritto all’attività di impresa, al lavoro o che promuovono il risparmio nonché a fronte di varie disposizioni penali che tutelano il patrimonio, come si possa consentire che una pretesa illegittima possa distruggere una persona e/o i propri beni. Sarebbe auspicabile una rinuncia spontanea, da parte delle banche, a chiedere ed ottenere decreti ingiuntivi laddove il saldo apparente si sia determinato a causa dell’addebito di importi che (chi svolge una determinata attività sa e deve sapere) non erano dovuti. Se norme di legge prescrivono l’onere di opporsi a un decreto ingiuntivo entro un determinato termine (40 giorni a meno che non sussistano i presupposti per l’opposizione tardiva prevista dall’art. 650 c.p.c.), è altrettanto vero che esistono norme penali che prevedono e puniscono la pretesa sostanzialmente illecita. Ricordo, inoltre, quanto scrissi in un mio precedente post dal titolo: “…e ci provano e riprovano ancora, confidando di farla sempre franca.

Sulla banca dati Diritto e contenzioso bancario, gli abbonati (o quanti usufruiscono del periodo di prova gratuito) possono leggere, inoltre, una breve nota sul caso deciso dal tribunale ligure dal titolo “Pretese bancarie illegittime, usura e ripercussioni sul sistema creditizio ed economico nazionale. Dall’uso all’abuso del processo” di Roberto Di Napoli e Daniele Rossi.





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